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Venere de' Medici

Arte ellenistica

Data
Fine II sec. a.C. - Inizi I sec. a.C.
Collezione
Scultura
Collocazione
A16. Tribuna
Tecnica
Marmo pario variante lychnite (statua); marmo pentelico (base)
Dimensioni
h. 153 cm
Inventario
1914 n. 224
Restauri
2012

Venere, la greca Afrodite, è raffigurata secondo il tipo iconografico detto della “pudica”. La dea, infatti, è colta nell’atto di coprirsi istintivamente il seno e il pube come se si fosse accorta di essere scrutata da uno sguardo indiscreto. Il modello, offerto dalla celebre Afrodite Cnidia realizzata da Prassitele alla metà del IV secolo a.C., conobbe grande fortuna in età ellenistica e romana e fu reinterpretata in numerose varianti.

Sul lato anteriore della base corre l’scrizione greca ΚΛΕΟΜΕΝΗΣ ΑΠΟΛΛΟΔΩΡΟΥ ΑΘΗΝΑΙΟΣ ΕΠΩΕΣΕΝ (Cleomene figlio di Apollodoro ateniese fece).

Nella prima metà del XVI secolo, a Roma, nell’area delle Terme di Traiano sull’Oppio, come sappiamo dalla preziosa testimonianza dell’antiquario Pirro Ligorio (Schreurs 2000, p. 477), fu rinvenuta una statua di Venere, frammentata in più parti, ma in un eccezionale stato di conservazione. A quest’opera mancava solo una firma di artista per potersi dire completa e, quando ancora era nelle proprietà del vescovo di Viterbo, si fece in modo di adattare a quella scultura la base di un’altra statua antica, firmata, ma evidentemente in stato di conservazione tale da non poter essere integrata. Da quanto restava dell’opera di Cleomene si ricavò, quindi, la base e il tronco, adattandolo alla sinuosa figura della dea, e dando così vita ad una scultura che, completata delle poche parti mancanti, sarà d’ora in avanti ineluttabilmente legata al nome di quell’artista.

Acquistata da Ferdinando dei Medici, la statua fu per quasi un secolo conservata negli ambienti interni di Villa Medici sul Pincio, fino a quando, nel 1677 fu portata a Firenze insieme ai Lottatori e all’Arrotino (Cecchi – Gasparri 2009, pp. 74-75, n. 64). Lo scultore lombardo Ercole Ferrata, incaricato di sovrintendere all’imballaggio delle opere a Roma insieme all’architetto Paolo Falconieri (Marinetti 2006 p. 97) giunse a Firenze appena pochi giorni dopo le statue al cui restauro pose subito mano nel laboratorio che gli era stato riservato in via Maggio (Baldinucci 1681-1728, p. 384).  Per quanto riguarda la Venere gli interventi furono piuttosto minimali e interessarono, per esplicita testimonianza del Baldinucci “alcune dita delle mani”, con ogni probabilità proprio quelle sei dita che risultavano mancanti già nell’inventario di Villa Medici redatto nel 1623 (Cecchi-Gasparri 2009, p. 75).

Nel 1680 (Pelli Bencivenni 1779, p. 290, nota 368), la Venere, risarcita delle dita mancanti, raggiunse la meta finale del suo viaggio, la Tribuna, dove fu sistemata insieme agli altri due celebri marmi venuti da Roma. Avvolta da un rispetto sacrale, tributatogli unanimemente dagli antiquari e dai visitatori del Grand Tour per tutto il XVIII secolo (Boschung 2007), la statua sfuggì a lungo da qualsiasi ulteriore intervento di restauro. Nel 1785 Francesco Carradori modellò due nuove braccia che poi fece sistemare su un calco della Venere perché se ne valutasse l’effetto generale (Zacchiroli 1790, p. 162). La proposta di sostituzione non ebbe esito e la statua mantenne quelle braccia di integrazione già oggetto dell’ammirazione di Orfeo Boselli che, alla metà del XVII secolo, ne aveva lodato la qualità non inferiore all’originale (Amadio 1992, p. 239).

Requisita dai Francesi nel 1802 (Pasquinelli 2008, p. 42), l’opera fu trasferita a Parigi dove fece mostra di sé al Musée Napoléon sino ai primi mesi del 1816, quando, in ottemperanza al Trattato di Vienna, fece ritorno a Firenze (AGU 1816 XL – n. 12, Statua della Venere de’ Medici tornata da Parigi. Ricevuta fattane dai Custodi).

A più riprese, nel corso dell’intero XVIII secolo, i viaggiatori del Grand Tour ed antiquari, come Alessandro Maffei (1704), Jonathan Richardson (1728), il barone di Montesquieu (1728-29), Johann Georg Keyssler (1740), Johann Wincklemann (1764) hanno ricordato la doratura aurea dei capelli della Venere dei Medici (Boschung 2007, p. 173).

Curiosamente questa particolarità sembra essere dimenticata dai visitatori del XIX secolo, a causa, forse, di una sempre maggiore difficoltà nel riconoscere un rivestimento aureo che sembrava essersi definitivamente perduto. Alcuni indizi potrebbero far pensare ad una rimozione volontaria e premeditata dei resti di rivestimento a foglia d’oro, un “derestauro” tutt’altro che anomalo nella temperie culturale neoclassica, che potebbe aver avuto luogo in occasione del già ricordato intervento del 1816.

Tracce superstiti dell’originaria doratura sono state riportate in luce solo in occasione dei restauri del 2012 e hanno confermato l’esistenza di un’originaria policromia della statua, provata anche dalla presenza di cinabro sulle labbra e di azzurro (blu egiziano) sull’onda cavalcata dal delfino (Paolucci 2014). E’ interessante notare che i lobi delle orecchie della statua sono forate per consentire l’inserzione di monili metallici che dovevano ulteriormente accentuale l’aspetto realistico della figura.

Dal momento che, come si è visto, la firma di Cleomene, pur essendo antica non apparteneva originariamente a questa scultura, i tentativi di datazione della scultura fiorentina sulla base della genealogia dei Cleomeni, importante famiglia di scultori neoattici attivi fra II e I secolo a.C., risultano del tutto infondati.

Le innegabili affinità nel modo di rendere la capigliatura, già più volte ravvisate, fra la Venere fiorentina e la testa della cd. Ariadne dal carico del relitto di Mahdia (Vorster 2001, p. 403; Schröder 2004, p. 271), databile agli ultimi anni del II secolo a.C., non rendono più necessarie complesse ricostruzioni genealogiche per dimostrare che Cleomene figlio di Apollodoro sia vissuto a cavallo fra II e I a.C. e che fosse il capostipite della bottega dei Cleomeni (Vorster 2001 p. 403). Più probabilmente Cleomene figlio di Apollodoro sarà da identificare proprio nel padre di quel Cleomene figlio di Cleomene che firmò, in età protoaugustea, il Marcello del Louvre (De Kersauson 1986, pp. 46-48, n. 18), un artista vissuto nei decenni centrali del I secolo a.C. destinato a rimanere per noi soltanto un nome inciso sulla base di una statua di Venere che non ha mai realizzato.

Per un approfondimento sui restauri esplora le nostre risorse: risorsa 1 

Modello 3D realizzato in collaborazione con Indiana University.
Visita: http://www.digitalsculpture.org/florence/

Bibliografia

F. Baldinucci, Notizie de’ Professori del Disegno da Cimabue in qua, 1681-1728, 6 voll., ed. per cura di F. Ranalli, 5 voll., Firenze 1845-47, rist. anast. a cura di P. Barocchi con 2 voll. di appendici, Firenze 1974-1975;F. Zacchiroli, Description de la Royale Galerie de Florence. Nouvelle Edition reformeé et argumentée, Arezzo 1790; G. Mansuelli, Galleria degli Uffizi. Le sculture, vol. I, Roma 1958; G. Pelli Bencivenni, Saggio Istorico della Reale Galleria di Firenze, Firenze 1779; B. Vierneisel-Schlörb, Glyptothek München. Katalog der Skulpturen, 2, Klassische Skulpturen des 5. und 4. Jahrhunderts v. Chr., München 1979; F. Haskell – N. Penny, Taste and the Antique. The Lure of Classical Sculpture 1500-1900, New Haven – London 1981; W. Neumer Pfau, Studien zur Iconographie und gesellschaftliche Funktion hellenistischer Aphrodite-Statuen, Diss. Hamburg 1981 – Bonn 1982; A. Delivorrias – G. Berger Doer – A. Kossatz-Deissmann, s.v. Aphrodite, in Lexicon Iconographicum Mythologiae Classicae, vol. II, 1-2, Zürich-München 1984, pp. 2-151; K. De Kersauson, Louvre. Catalogue des portraits romains, vol. 1, Paris 1986; B.S. Ridgway, Hellenistic Sculpture, I. The Styles of ca. 331 –200 b.C., Bristol 1990; R.R.R. Smith, Hellenistic Sculpture, London 1991; A.A. Amadio, “Le osservationi della scoltura antica” di Orfeo Boselli, in La collezione Boncompagni Ludovisi. Algardi, Bernini e la fortuna dell’Antico, a cura di A. Giuliano, catalogo della mostra (Roma, dicembre 1992-aprile 1993), Venezia 1992, pp. 238-239; P. Moreno, Scultura ellenistica, Roma 1994; Ch. Mitchell Havelock, The Aphrodite of Knidos and her Successors, Ann Arbor 1995; A. Schreurs, Antikenbild und Kunstanschauungen des neapolitanischen Malers, Architekten und Antiquars Pirro Ligorio (1513-1583), Köln 2000; Ch. Vorster, Kλεoμενηςoλλoδωρ Aθηναι. Spurensuche nach einem Phantom,in Aγαλma. Mελέτες για την αρχαία πλαστική πρoς τιμήν τoυ Γιώργoυ Δεσπίνη, Thessalonike 2001, pp. 387-408; S.F. Schröder, Catálogo de la Escultura clásica, vol. II, Escultura mitológica, Madrid 2004; D. Boschung, Die Rezeption antiker Statuen als Diskurs. Das Beispiel der Venus Medici, in Zentren und Wirkungsräume dee Antikenrezeption, a cura di K. Schade – D. Rössler – A. Schäfer, Berlin 2007, pp. 165-175; R. Marinetti, Note su Ercole Ferrata e le antichità medicee di Roma e Firenze, “Ricerche di Storia dell’Arte”, 88, 2006, pp. 93- 104; C. Pasquinelli, La Galleria in esilio. Il trasferimento delle opere d’arte da Firenze a Palermo a cura del Cavalier Tommaso Puccini (1800-1803), Pisa 2008; A. Cecchi - C. Gasparri, La Villa Médicis. Le collezioni del Cardinal Ferdinando, vol. 4, Roma 2009; F. Paolucci, La Venere dei Medici alla luce dei recenti restauri, in La Tribuna del principe. Storia, contesto, restauro, atti del colloquio internazionale (2012) a cura di A. Natali – A. Nova – M. Rossi, Firenze 2014, pp. 178-189.

Testo di
Fabrizio Paolucci
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