Intellettuali in battaglia. Fama e oblio di due letterati, dalla Battaglia di Anghiari all’assedio di Famagosta
Al Museo della Battaglia e di Anghiari arriva una nuova mostra di Terre degli Uffizi
Fino al 17 settembre il borgo ospiterà opere manoscritte e a stampa provenienti da importanti istituzioni culturali e dipinti dal celebre museo fiorentino: un vero e proprio itinerario tra le corti dei Medici e Venezia, dove Nomi e Magi vissero e lavorarono. “Intellettuali in battaglia, fama e oblio di due letterati dalla Battaglia di Anghiari all’assedio di Famagosta” è il titolo dell’esposizione nel Museo della Battaglia e di Anghiari, curata dal direttore del museo Gabriele Mazzi e scaturita dai recenti studi di Pietro Giabbanelli, che ha permesso di evidenziare la vita e le opere di Girolamo Magi.
Indispensabile per Magi, nato ad Anghiari presumibilmente nel 1523, fu l’incontro con il poeta Pietro Aretino che lo aiutò nella pubblicazione del volume “Le guerre di Fiandra” e le commissioni di Cosimo I de’ Medici, che in seguito lo portarono al servizio della Serenissima. Per Magi fu fondamentale lo studio del trattato sull’architettura militare di Albrecht Dürer, che fu il riferimento per quello del letterato anghiarese, il “Della Fortificazione delle Città” scritto a quattro mani con Giacomo Fusto, detto Castriotto, e pubblicato a Venezia nel 1564. Venezia rimane il fulcro dell’attività matura di Magi, dove venne elevato al rango di “Cavaliere di San Marco” e da dove partì come sovrintendente alle fortificazioni per la difesa dell’isola di Cipro durante la guerra con gli Ottomani, culminata con la presa di Famagosta da parte di questi ultimi. Dopo la sconfitta veneziana, Magi venne condotto prigioniero a Costantinopoli dove venne giustiziato. Durante la prigionia ebbe il tempo di comporre opere letterarie, fra le quali il “De Tintinnabulis”, pubblicato postumo, uno dei più significativi trattati di tutti i tempi sul suono delle campane.
Per Federigo Nomi, di antica stirpe di Borgo Sansepolcro, ma nato ad Anghiari nel 1633, il turbolento ambiente culturale toscano in declino, diviso tra galileisti e aristotelisti, lo portò da Rettore della scuola di Sapienza di Pisa all’esilio a Monterchi, dove scrisse la “Buda liberata” poi pubblicata nel 1703 e il “Al Catorcio d’Anghiari”, rimasto manoscritto e dato alle stampe solo a metà del XIX secolo. Il panorama storico e culturale che scaturisce dalla battaglia di Anghiari del 29 giugno 1440, in seguito raffigurata da Leonardo Da Vinci, fece da genesi e da sfondo al componimento letterario del Catorcio.
La sua vicinanza ad Antonio Magliabechi, ma soprattutto all’amico Francesco Redi, intimo della corte medicea, ne favorì la carriera di intellettuale, inserendolo fra i protetti di Cosimo III de’ Medici.
In mostra tra i prestiti dalle Gallerie degli Uffizi, La fama e l’oblio di Nicolas Tournier, La donna e il soldato di Gerard Ter Borch e alcuni ritratti dei protagonisti della mostra, come quelli di Francesco Redi, Selim II, Pietro Aretino. Tra le opere in mostra, dalla Biblioteca Città di Arezzo, alcuni dei volumi a stampa delle opere più significative di Magi, dal Museo delle Arti e Tradizioni Popolari dell’Alta Valle del Tevere di Palazzo Taglieschi (Direzione regionale musei della Toscana) il Ritratto di Federigo Nomi, dalla biblioteca della Nuova Fondazione Pedretti una rara edizione degli Elogia di Paolo Giovio e grazie alla collaborazione con la Biblioteca comunale degli Intronati di Siena sarà possibile il confronto fra l’opera di Dürer e gli studi di Girolamo Magi.
Sono stati inoltre realizzati alcuni modelli di macchine inventate da Girolamo Magi, con i quali sarà possibile sperimentare direttamente in mostra le invenzioni tecnologiche che egli realizzò nel XVI secolo.
Magi e Nomi contribuirono a determinare il panorama culturale dell’epoca. Due personaggi così diversi e distanti ma accomunati da destini simili: l’instancabile produzione letteraria, seguita dall’oblio. La mostra vuole porsi quale strumento di riflessione per evidenziare quanto l’ambiente intellettuale del XVI e XVII secolo fosse diffuso nel territorio, apportando arricchimenti e partecipando all’evoluzione del pensiero.
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